Las Vegas, è di Andrea Kimi Antonelli il titolo di Hammer of the Day

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Jacopo Mandò
Kimi Antonelli Las Vegas

C'è un paradosso nella stagione di Andrea Kimi Antonelli: ciò che lo ha frenato nel Vecchio Continente è lo stesso che oggi ci permette di capire quanto valga davvero.

Quel periodo europeo, duro, frustrante, può apparire come una piccola macchia sulla sua prima stagione in Formula 1.

In realtà, però, è la cornice indispensabile che rende più nitido tutto il resto.

Perché al netto di quella parentesi, quello che Kimi ha mostrato è stato semplicemente notevole.

Non notevole "per un rookie". Notevole, punto.

Podi, qualifiche solide, gare ragionate, e una maturità che non appartiene alla sua anagrafe, ma al suo carattere e alla sua personalità.

Essenziale, quasi schiva, e un modo di fare - e di essere - pulito, non impostato, che stona in un paddock sempre più spesso costruito a tavolino.

Il viso ancora giovane, acerbo, un simbolo involontario di autenticità in un ambiente che ne ha sempre meno. Forse è per questo che la gente lo guarda, lo segue, si riconosce: perché ricorda a tutti com'era quando si sognava senza filtri.

A Las Vegas è arrivato un podio diverso, inatteso.

Ufficialmente "regalato", ufficiosamente meritato nel percorso.

Nel frattempo, in sottofondo, rimbalza il video di Verstappen che gli chiede, con un sorriso che è metà incredulità e metà affetto:

"In che posizione hai concluso? Quarto? Wow".

In mezzo a politica, regolamenti, Mickey Mouse e una Formula 1 che spesso sembra voler assomigliare a tutto tranne che allo sport, la purezza di questo momento è quasi disarmante.

E allora sì, Kimi: continua.

Non solo a sognare, ma a costruire.

Che in questo sport i sogni valgono, ma è la sostanza (che tu hai già) a portarli in alto.