Newey e la Ferrari: rette parallele che non si incontreranno mai

Qualcuno dice che preferisca le piovose notti inglesi a quelle nebulose della pianura padana, altri invece affermano che, ad Adrian Newey, i tortellini proprio non vanno giù.
Sarà.
Sta di fatto che, anche per questa volta, ognuno per la sua strada: Newey in Aston Martin, la Ferrari nella roccaforte di Maranello a ridare slancio al proprio sogno.
D’altro canto, una famosa frase di Hester Browne recita "Ciò che è destinato a te troverà il modo di raggiungerti". Allora perché forzare il destino? Ne valeva davvero la pena?

In questi mesi, attorno alla figura dell’ingegnere di Stratford-upon-Avon se ne sono dette e sentite di tutti i colori, tra chi lo riteneva indispensabile per il progetto di risorgimento del team e chi, addirittura, era pronto a dargli pieni poteri per rivoluzionare a suo piacimento l’intera gestione tecnica della Rossa.
Tralasciando le motivazioni prettamente tecniche, eravamo davvero disposti a mettere da parte il Noi per il semplice Io? A rischiare l’intero equilibrio tecnico-morale della squadra?
Forse non sapremo mai quali condizioni abbia messo Newey sul tavolo di Maranello per accettare la corte della Ferrari, quello che sappiamo con certezza però è che, come il passato ben insegna, un uomo non fa una Scuderia, e nulla è più importante della storia del Cavallino Rampante, nemmeno la mente tecnica più influente della storia della Formula 1.
E buona pace a quei maldestri sognatori che avevano individuato nella storica squadra di Maranello la chiusura di un cerchio o il più classico lieto fine per la carriera del tecnico britannico. Brutti tempi per sognare questi.

La verità è che forse l’approdo di Newey in Aston Martin è la scelta più giusta e ovvia, sia per le ambizioni del team caro a Lawrence Stroll, sempre più ammaliato da sogni iridati, che per lo stesso sessantacinquenne ingegnere inglese, che in quel di Silverstone lavorerà con molta meno pressione e avrà probabilmente carta bianca per dare spazio a tutta la sua fantasia.
Dal canto nostro, spetta a Frederic Vasseur e ai suoi ragazzi l’onore di dipingere l’opera di rinascita iridata del Cavallino Rampante, come è accaduto "21 anni dopo Jody Scheckter" e come accadrà, si spera il prima possibile, in questi interminabili anni di digiuno dopo Kimi Raikkonen.
Per cui, nessun rimpianto deve pervadere l’animo della Ferrari e dei suoi tifosi, forse solo una triste nostalgia: quella di non aver potuto ammirare con i propri colori del cuore, per strani giochi del destino e per motivi diversi, dapprima il pilota più grande, Ayrton Senna, e poi l'ingegnere più iconico, Adrian Newey.
Chissà che effetto avrebbe fatto vederli entrambi vestiti di Rosso.
