"La macchina era una bestia"

Mentre l'universo intero della Formula 1 – dagli addetti ai lavori ai cultori di questo nobile sport – si perde nel tentativo di scandagliare i due episodi che nelle recenti settimane hanno scatenato uno scandalo di proporzioni epiche, la Ferrari, silenziosa e imperturbabile, ha scelto di lasciar parlare il solo e inesorabile linguaggio della pista.

E così, sul rovente asfalto del Circuito delle Americhe, ha offerto una prova mastodontica, erigendo un monumento alla velocità: un 1-2 implacabile, come un colpo da maestro, su un tracciato che tutti avevano profetizzato come nemico giurato della SF-24.
La Formula 1 è da sempre teatro di manovre oscure e compromessi nascosti tra le pieghe dei regolamenti. Eppure, la passione che infiamma questo sport travalica ogni sotterfugio e ogni controversia, ergendosi pura come un'onda di luce che squarcia l'oscurità.

Perché, come disse l'immortale Dante, "L'amore che move il sole e l'altre stelle" è la forza motrice che sostiene ogni anima che si dedica con ardore a questo gioco di velocità e ingegno. E chi, prima del week-end texano, avrebbe osato scommettere sul Cavallino Rampante? Con una monoposto che fino a quel momento aveva brillato principalmente su circuiti con scarso carico aerodinamico, pareva assurdo anche solo immaginare una Ferrari capace di annichilire la concorrenza.
Ma le certezze, in questo mondo, sono fragili come castelli di sabbia.
La SF-24, in formato F1-75 Prime (Melbourne 2022, ndr), ha stravolto le aspettative e, mentre gli avversari erano impantanati nelle paludi delle irregolarità, la scuderia italiana ha scritto una nuova pagina della sua gloriosa storia, lasciando gli Stati Uniti con le tasche colme di certezze.

Il passato, per quanto intriso di rimpianti, non si può ignorare.
Concediamoci dunque la libertà di domandare: cosa sarebbe accaduto se in Spagna la Ferrari (ai tempi diretta da un Enrico Cardile che non vedeva l'ora di accasarsi altrove) non avesse perso la rotta, con una vettura che, uscita da Barcellona, appariva indomabile? E cosa sarebbe stato di Baku, se la vittoria non fosse stata sottratta da una McLaren che ha giocato con le regole?
Cosa, infine, avrebbe potuto cambiare a Singapore, dove un sabato catastrofico ha infranto le speranze di gloria?

Eppure, il presente non si scrive con i "se" e i "ma". Forse, il destino del campionato è già segnato: il Titolo Piloti finirà probabilmente ancora una volta nelle mani dell'olandese che, ironia della sorte, cinque anni fa ad Austin accusava la Ferrari di slealtà. Forse, sarà la McLaren a raccogliere la corona nei Costruttori, dopo aver ribaltato le sorti della stagione con una metamorfosi tanto rapida quanto spettacolare.
Le certezze, in Formula 1 come nella vita, sono poche e sfuggenti. Ma se c'è una verità che il cuore conosce, è che la speranza non si spegne mai.

Così, finché la matematica lascerà aperto anche il più piccolo spiraglio, la possibilità di un miracolo sarà lì, viva e pulsante.
E chi meglio di Kimi Raikkonen, che nel 2007 compì l'impossibile, potrebbe confermare che i miracoli, talvolta, prendono vita proprio nel cuore di un circuito. La Formula 1 non è solo velocità, ma emozione allo stato puro.

E queste emozioni non si possono spiegare con semplici parole: si vivono, si respirano. Si riflettono negli occhi di chi, ad Austin, ha trionfato, inseguendo un sogno che forse, ora più che mai, non è poi così distante. La poesia della velocità è questa: un battito, un respiro, un istante che diventa eterno.
