Suicidio di massa

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Alessandro Morini Gallarati
Abarth 500e

L'Europa, nel nome di una rivoluzione verde mal pensata e ancor peggio implementata, si è resa colpevole di uno dei più grandi disastri economici e industriali del nostro secolo: la distruzione del settore automotive, una delle eccellenze continentali, simbolo di innovazione e passione.

Nel folle rincorrere un concetto di sostenibilità dettato da potenze economiche esterne, come la Cina, il Vecchio Continente ha tradito le proprie radici e i propri lavoratori, consegnandosi senza riserve a un futuro elettrico non voluto e, forse, nemmeno necessario.

L'elettrificazione imposta e il declino delle eccellenze europee

La decisione di forzare l'intera industria automobilistica verso l'elettrificazione è stata presa in maniera tanto repentina quanto sconsiderata. Le case automobilistiche europee, che avevano costruito la propria reputazione e dominato i mercati globali per decenni grazie a motori a combustione interna tra i più avanzati al mondo, si sono trovate di fronte a un bivio: elettrificarsi o soccombere, senza riflettere sul fatto che la prima opzione avrebbe determinato comunque il generarsi della seconda.

Sotto la pressione di regolamentazioni europee draconiane e in nome di obiettivi climatici irrealistici, le aziende hanno dovuto così abbandonare progressivamente anni di eccellenza ingegneristica, gettando alle ortiche il proprio know-how.

Il Gruppo Volkswagen e Mercedes, due giganti dell'industria tedesca, sono stati costretti a reinventarsi completamente. Un esempio emblematico di questo stravolgimento è la Porsche Macan di nuova generazione, un tempo traino della gamma endotermica della Casa di Zuffenhausen. La nuova versione esclusivamente elettrica della Porsche più venduta dell'ultimo decennio ha incontrato una risposta tiepida sia da parte del mercato che degli appassionati, preannunciando un crollo a livello di vendite che rappresenterebbe una catastrofe.

Per "mamma" Volkswagen le ripercussioni potrebbero essere ben più gravi. Il colosso tedesco, infatti, sta affrontando una crisi interna che potrebbe portare alla chiusura di diversi impianti di produzione e oltre 15.000 licenziamenti, senza che sia necessaria l'approvazione del consiglio di sorveglianza. Secondo gli analisti di Jefferies, la compagnia tedesca potrebbe dover accantonare fino a 4,4 miliardi di euro per coprire le buonuscite.

Le tensioni stanno inevitabilmente già esplodendo: i lavoratori di Audi, uno dei brand più colpiti dalla transizione, hanno manifestato a Bruxelles contro la possibile chiusura di uno degli stabilimenti del gruppo. In parallelo a questa difficile situazione, Volkswagen sta negoziando nuovi accordi salariali con i sindacati in vista del 2025. Sebbene, in un contesto di crisi, la prospettiva di aumenti di stipendio possa apparire paradossale, tali negoziazioni rientrano nelle trattative regolari e riguardano i dipendenti che rimarranno in forza al Gruppo dopo l'attuazione dei tagli.

I sindacati, tuttavia, potrebbero non essere in grado di opporsi efficacemente alle chiusure degli stabilimenti o ai licenziamenti, poiché tali misure non sono tutelate dagli attuali contratti collettivi, che giungeranno a scadenza entro la fine dell'anno. Di conseguenza, nonostante le trattative attualmente in corso, le migliaia di licenziamenti in programma potrebbero avere inizio già nel Luglio del 2025, segnando una svolta drammatica.

Per quanto riguarda il marchio Maserati, la gamma Folgore - ambizioso tentativo italiano di affermarsi nel mercato delle elettriche ad alte prestazioni - ha incontrato (come da previsione) difficoltà importanti, accentuate da un momento non particolarmente florido a livello di vendite anche per quel che concerne le versioni termiche e la momentanea assenza, in gamma, di auto come Ghibli, Quattroporte e Levante.

Stellantis: l'addio di Tavares (programmato per il 2026) e il crollo inesorabile

Se c'è un caso che più di tutti incarna il dramma dell'industria automobilistica europea, quello è proprio Stellantis. Il colosso nato dalla fusione tra FCA e PSA, un tempo guidato dalla visione lungimirante di un Sergio Marchionne che aveva previsto con largo anticipo quanto sarebbe accaduto, oggi si trova a dover navigare in un futuro incerto, e gli eventi recenti (il Presidente John Elkann è stato chiamato a riferire in Parlamento, ndr) confermano quanto il tracollo sia irreversibile.

Carlos Tavares, l'uomo a cui è stato affidato il timone di Stellantis dopo la scomparsa del "manager col maglione", si trova oggi ad affrontare le conseguenze di una crisi funesta. La sua gestione, inizialmente vista come un proseguimento dell'attitudine pragmatica del compianto ex numero uno di FCA, si è invece scontrata con una realtà fatta di scelte forzate e una transizione elettrica che ha finito per svuotare i marchi del gruppo della loro identità.

Tavares ha cercato disperatamente di adeguarsi a quanto imposto dall'Unione Europea, sacrificando modelli storici e abbandonando gran parte del proprio patrimonio ingegneristico, ma non è mai riuscito a trovare un equilibrio tra il rispetto delle tradizioni di brand come Abarth, Alfa Romeo e Lancia, che avevano fatto la storia dell'automobilismo italiano ed europeo, e l'obbligo di allinearsi ai severi obiettivi climatici di Bruxelles.

Di fronte a questa pressione, Stellantis ha cercato di rilanciarsi con la produzione della 500 ibrida (su base 500e) a Mirafiori, prevista per il 2025. Tuttavia, il colpevole ritardo nello sviluppo di questa alternativa, unito a una crescente incertezza normativa, ha messo a dura prova la capacità del Gruppo di rimanere competitivo.

L'uscita di scena di Tavares, prevista per il 2026 e discussa durante il recente Salone Internazionale dell'Automobile di Parigi, è simbolo di un colosso che sembra aver perso la bussola, schiacciato da una rivoluzione industriale guidata più dalla politica che dal mercato. Stellantis, ora in cerca di una nuova leadership e di una strategia che possa salvare il salvabile, si trova sull'orlo del baratro, vittima di un cambiamento che non ha saputo o potuto governare.

BMW: l'inversione (seppur parziale) di rotta

Tuttavia, vi è anche chi ha scelto di resistere e (seppur in modo parziale, quasi esplorativo) fare marcia indietro, consapevole di come il disastro sia dietro l'angolo. Parliamo di BMW, che - come raccontatovi in esclusiva sulle piattaforme social di Italian Wheel - ha deciso di cambiare strategia, mantenendo in produzione il leggendario sei cilindri in linea, che accompagnerà anche la prossima generazione della iconica M3 (G84). Questo motore, uno degli ultimi simboli della grande tradizione ingegneristica tedesca, rappresenta la volontà del marchio di non abbandonare del tutto il passato, preservando quelle caratteristiche che hanno fatto innamorare milioni di appassionati nel corso degli anni.

BMW, contrariamente alla direzione imposta dalle normative europee, sembra voler puntare su una strategia maggiormente equilibrata, continuando a sviluppare motori endotermici di altissimo livello affiancati da una gamma elettrica. Questa mossa, che potrebbe sembrare controcorrente, è in realtà il sintomo di un'industria che sta cercando disperatamente di trovare un equilibrio tra il rispetto delle norme e la conservazione del proprio DNA.

I dirigenti del colosso bavarese sembrano aver compreso ciò che molti altri produttori stanno iniziando a realizzare: il futuro dell'automotive non può essere solo elettrico, almeno non a queste condizioni.

La speranza di un cambio normativo: una corsa contro il tempo

Le scelte di BMW non sono un caso isolato. Anche altre case automobilistiche stanno iniziando a riconsiderare le proprie strategie, consapevoli che la totale elettrificazione entro il 2035, come imposto dall'Europa, è una sfida impossibile da vincere. La speranza, mai così forte, è che le normative vengano riviste, o quantomeno che ci sia una proroga rispetto al divieto delle auto a combustione interna. Ma il tempo stringe, e i margini per evitare il collasso sono sempre più ridotti.

L'industria automotive sta vivendo una vera e propria corsa contro il tempo. I danni causati da una politica industriale miope si fanno sempre più evidenti, e se non verrà invertita la rotta, i prossimi anni potrebbero segnare la definitiva fine di marchi storici e la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro.

Le case automobilistiche sono consapevoli che il ritorno alle origini potrebbe essere l'unica speranza per salvare un settore che ha segnato la storia economica e culturale di un'Europa che, negli ultimi cinque anni, ha svenduto un'eccellenza in nome di un idealismo sconsiderato, ha distrutto posti di lavoro e soffocato la passione di milioni di persone. Un'Europa che ha permesso che la Cina prendesse il controllo di un settore cruciale, cedendo un potere tecnologico e industriale che era integralmente nelle nostre mani, che ha tradito le proprie radici, i propri lavoratori e la propria storia.

I brand che ci accompagnano da generazioni stanno cercando disperatamente di tornare sui propri passi, sperando in un supporto che al momento, però, non si vede. Come sottolineato precedentemente, questa è una corsa contro il tempo, ma il rischio che sia troppo tardi è terribilmente reale.