Talento e non solo: l'analisi "tecnica" della rimonta di Verstappen in Brasile

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Claudio Brembati
Max Verstappen

Il recente Gran Premio del Brasile ci ha regalato una vittoria incredibile di Max Verstappen, per il quale è davvero il caso di dire che si sono esauriti gli aggettivi. Il tre volte iridato ha tagliato il traguardo per primo nonostante partisse diciassettesimo, in una gara complicata dalla penalizzazione, dalla pioggia, dalle condizioni mutevoli, dai sorpassi, da incidenti e relative bandiere rosse o Safety Car (rivelatesi alla fine, comunque, indubbiamente favorevoli).

La cosa più clamorosa è stata non solo la vittoria, quanto il distacco inflitto dal campione olandese ai propri inseguitori. Negli ultimi 25 giri dopo la bandiera rossa, Verstappen ha accumulato venti secondi di vantaggio su Ocon, secondo classificato e mediamente più lento di otto decimi, e addirittura 30 sulla coppia Leclerc-Norris, più lenti di 1,2 secondi.

A parere di chi scrive, è doveroso tributare il giusto riconoscimento a un pilota straordinario, ma è altrettanto doveroso ricercare le ragioni tecniche (importantissime in questo sport) che hanno favorito questa prestazione davvero eccezionale. Va premesso che tutte le scuderie hanno potuto preparare i loro migliori assetti in vista di una qualifica e una gara bagnate e quindi, da questo punto di vista, possiamo pensare che siano partite da una base comune.

Innanzitutto, la RB20 non ha il vantaggio sulla concorrenza che aveva la progenitrice RB19. Al contrario, è apparsa recentemente molto in difficoltà, sebbene in leggera ripresa. Distacchi così pesanti come quelli inflitti da Verstappen al resto degli inseguitori sono possibili e giustificabili solo considerando il fattore gomme. Abbiamo ormai appreso che, se non portate correttamente in temperatura anche di pochi gradi, possono influire drammaticamente in termini cronometrici, una situazione non improbabile in condizioni come quelle della scorsa domenica a San Paolo.

Una possibile chiave di lettura potrebbe trovarsi in una RB20 particolarmente efficace nel far lavorare le proprie gomme nella finestra ideale, cosa riuscita meno bene alle dirette inseguitrici. La RB20, come tutte le sue progenitrici a effetto suolo, nasce per generare carico viaggiando relativamente più alta dal suolo, sfruttando non solo l'effetto Venturi ma anche due differenti meccanismi.

Il primo sistema è costituito dai potenti effetti vorticosi generati dalle paratie anteriori del fondo il cui effetto è teoricamente indipendente dalla altezza da terra. Il secondo sfrutta la tridimensionalità del fondo stesso ricercando zone di espansione orizzontali così che, al variare della altezza dell'intero complesso dato da fondo e diffusore, le variazioni di carico siano molto meno importanti di quanto sarebbero sfruttando solo l'espansione verticale.

Se da un lato questo aspetto fondante delle vetture di Milton Keynes è stato ampiamente recuperato dalle proprie avversarie, è possibile che permanga un certo vantaggio competitivo soprattutto in condizioni particolari come quelle offerte dal tracciato brasiliano bagnato dalla pioggia. Generare l'effetto suolo viaggiando relativamente più alti da terra garantisce la spinta aerodinamica, e quindi l'energia necessaria a mettere in temperatura le gomme con meno preoccupazioni relative a effetti di aquaplaning tra il fondo vettura e asfalto bagnato.

Una vettura così progettata, inoltre, ha nel suo DNA anche la possibilità di utilizzare molle e assetti mediamente più morbidi, non temendo di avvicinarsi al suolo innescando il nefasto effetto di rimbalzo aerodinamico. Un assetto mediamente più morbido è fondamentale in condizioni di pista bagnata o molto mutevole, ed è possibile che la RB20 conservi ancora un vantaggio nelle possibilità di regolazione che rimangono precluse invece alle proprie avversarie.

C'è un ultimo aspetto da considerare, legato al nuovo asfalto del circuito di San Paolo, giudicato da moltissimi non soddisfacente e pieno di sobbalzi. Anche da questo punto di vista è chiaro che una vettura che affronta la gara con un assetto più morbido può beneficiare di un'aderenza più costante, fondamentale per mantenere le gomme nella corretta finestra di utilizzo, nonché per trasmettere reazioni più sincere al pilota alimentando la sua fiducia nel portarla al limite.

Questo scenario tecnico spiegherebbe la rimonta iniziale, che lo ha portato al tredicesimo giro già a ridosso di Leclerc, e anche la fase finale dopo il regime di bandiera rossa in cui tutti hanno avuto occasione di montare gomme nuove partendo da una base comune. Verstappen ha quindi certamente corso un Gran Premio da Campione del Mondo, anzi da tetra-campione, ma non è pensabile che con la sola, per quanto immensa, capacità di guida abbia espresso una prestazione di una categoria superiore.

Questo serve anche a liberarci di quella retorica che fu applicata a Lewis Hamilton negli anni dello sconfinato dominio, e che ora si è trasformata in un'arma a doppio taglio nel momento in cui il mezzo a sua disposizione non è più stato all'altezza.